Il coraggio di essere una donna: Lidia Poët

Marzia
Scritto da Marzia -
Il coraggio di essere una donna: Lidia Poët

“L’avvocheria è un ufficio esercitabile soltanto da maschi e nel quale non devono immischiarsi lefemmine”.

Queste sono state le motivazioni che la Corte D’Appello di Torino ha fornito all’avvocata Lidia Poët, nel 1884, per annullare la sua iscrizione all’albo degli avvocati. Parole insensate, in alcun modo oggettive, ma anzi dettate dai pregiudizi che caratterizzavano la società del tempo: le donne non potevano svolgere la professione dell’avvocato perché la avrebbero rovinata applicando ad essa la moda che le accomunava, come i vestiti e le acconciature bizzarre e assumendo comportamenti non adeguati al “sesso più gentile”.

All’epoca Lidia aveva 28 anni. Nel 1881 si era laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti discutendo la sua tesi intitolata “Studio sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale ed al diritto amministrativo nelle elezioni”, successivamente aveva svolto per due anni la pratica forense, indispensabile per il superamento degli esami da procuratore legale, e aveva poi chiesto l’iscrizione all’albo degli avvocati e dei procuratori legali. Nel 1883 il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Torino votò con 8 voti a favore contro 4 contrari la risoluzione di iscriverla, prima donna in Italia, all’albo degli avvocati patrocinanti. Iniziarono però a diffondersi testi e articoli contrari alla decisione e la Corte D’Appello annullò quindi la sua iscrizione pronunciando le motivazioni sopra citate.

La questione fu oggetto di molta attenzione e alcune persone si schierarono a favore della decisione presa, mentre altre erano contrarie. Nonostante tutto, Lidia non si arrese e continuò a svolgere la professione legale lavorando per anni nello studio legale del fratello, Giovanni Enrico Poët, scrivendo atti difensivi che lei non avrebbe potuto firmare, sostenendo tesi giuridiche che lei non avrebbe potuto esporre nelle aule dei tribunali. Non esercitò la professione direttamente, ma continuò a lottare viaggiando in tutta Europa per sostenere gli ideali in cui credeva, come il voto e i diritti delle donne, la difesa delle persone più deboli, degli emarginati e il recupero dei detenuti, mostrando di avere idee di straordinaria originalità ed attualità.

Partecipò attivamente, infatti, al Segretariato del Congresso Penitenziario Internazionale e al Consiglio Internazionale delle Donne, venne nominata dal governo francese Officier D’Académie e durante la prima guerra mondiale entrò nella Croce Rossa, impegno per il quale ricevette una medaglia d’argento.

Lidia Poët è stata la prima avvocata d’Italia, ma riuscì a diventarlo soltanto nel 1919, con l’approvazione della legge che ammetteva le donne all’esercizio delle libere professioni, quando lei aveva ormai 65 anni.

La sua storia è diventata recentemente più conosciuta grazie alla creazione di una serie TV che ne tratta. Anche se, a mio parere, è un po’ romanzata, “La legge di Lidia Poët” tratta temi fondamentali per comprendere la società di fine ‘800 e la concezione della figura femminile all’epoca, ma soprattutto per riflettere sul lungo processo di lotte e manifestazioni che ha permesso alle donne di raggiungere il relativo livello di parità di genere attuale.

È fondamentale quindi ricordare donne come Lidia Poët che con coraggio hanno rivendicato i propri diritti e sono state in grado di cambiare la storia, in modo che il raggiungimento di una piena parità di genere sia un obiettivo comune a tutti e non solo una speranza femminile.

Marzia

Bibliografia:

L’immagine utilizzata per questo articolo è un’opera pubblicata su WikiMedia con licenza CC0

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